Cinema periferico: visioni estreme

Guidonia, multisala Planet. Visione di Seven Swords, interminabile, tipo 2 ore e un quarto. Dopo i primi 100 minuti, ogni dissolvenza produce sempre più cattiveria, quasi respirabile nell’aria. Alla fine, morto l’eroe o non mi ricordo chi cazzo, ne vengono bruciate le ceneri. Dissolvenza. La gente fa per alzarsi. No, niente, dissolvenza in entrata, sottotitoli che avvertono «adesso Yin Gu e Jin Ti devono portare le ceneri dall’Imperatore». Malumori in sala, qualche malore. Borbottii di puro principio. Horror vacui alla prospettiva del cerimoniale che ci vuole a consegnare delle ceneri di un eroe (!!) all’Imperatore (!!!). Alla fine, i due superstiti cavalcano fino sopra un’altura e le spargono al vento che spira impetuoso. Dietro di me, una voce maschile commenta: «Eh, tutto sto casino, e jaa fatte respirà tutte ar cavallo».

 

Visione di The Passion al Planet di Guidonia: popcorn, pepsi con cannuccia, tacos con salsa piccante, bambini. Accanto a me, due adolescenti con la catenina d’oro bloccapedali. A un certo punto, sullo schermo compare Giuda che nel lurido anfratto fra le rocce conta i denari della sua sudicia colpa. Improvvisamente, da uno squarcio nel buio compare una orribile faccia di demone. Il ragazzino accanto a me mette una mano sul bracciolo e fa: “Bada aò, ma era de paura!”

 

Multisala Vis Pathé, centro commerciale Roma est. Il film è Parnassus, con Heath Ledger che è morto durante le riprese e che Terry Gilliam sostituisce via via con Jude Law e Johnny Depp.
Accanto a me, una famiglia completa, nel senso sia qualitativo che quantitativo. Il capofamiglia si produce in acrobatismi impressionanti per la sua mole, andando e tornando dal bar con tonnellate di mangime per i figli e la moglie, che per l’occasione ha messo i sandali gioiello e il profumo più in tema col film che poteva. Il capofamiglia, finalmente seduto, sudato, esausto ma entusiasta, procede per tutti alla lettura dei titoli di testa: «eat ledger. gionni deppe. iu lav, colin farre», come se anche noi oltre ai membri della sua famiglia non sapessimo leggere o, peggio, come li avesse scritti lui e se ne volesse prendere il merito. Poi, infine, una scritta mezza in italiano: «Parnassus: L’uomo che voleva ingannare il diavolo», sottolinea all’inverosimile la parola “ingannare”, e “diavolo” lo pronuncia come per dire “mica stocazzo” Poi si volta verso la moglie e aggiunge «Guarda che te porto a vede’». Dopo 10 minuti, si addormenta, russando fragorosamente. Dopo un po’, la moglie lo sveglia: «Aò, svejate, se ne potemo pure anna’, tanto ‘n’cho capito ‘ncazzo».

Cinema Planet, Guidonia. Visione di The Call di Takashi Miike. Sala gremita di ragazzini, attirati dalla scia dei vari horror commerciali tipo The ring. Nel film, che parla di abusi e autismo, cominciano a morire uno dopo l’altro i componenti di una scolaresca che ricevono una chiamata senza risposta sul cellulare: quelli che rispondono o richiamano spariscono. Un gruppetto di ragazzini dietro di me prende in giro le femmine perché stanno morendo di paura (e il film fa davvero paura perché non si vede manco un ammazzamento): «Aò, a te non te po’ capità, tanto er telefono noo ricarichi manco se t’ammazzano».

Durante il film, compaiono spesso un vaporizzatore per l’asma e una caramella. Per mettere paura alle femmine (e per sedare la propria) i maschi fanno continuamente il rumore dello spruzzino e ogni due minuti chiedono: «Che ‘a vòi ‘na carammella?». Sul finale, la ragazzina protagonista si sta asciugando i capelli nella sua stanza, ed ha come un momento di estrema consapevolezza, come se avesse capito il suo destino e quindi il senso di tutte quelle morti. Si ferma, si guarda nello specchio, sgrana gli occhi, guarda allegoricamente il phon puntato verso di lei come una pistola. Silenzio tra i ragazzini, che non riescono a capire. Dopo qualche istante, catarticamente, uno di loro chiosa: «Sì, mo’ è corpa der fono».

 

Cinema Tibur, San Lorenzo. Film: Le Crociate, di Ridley Scott. In una scena di battaglia compare in dissolvenza Orlando Bloom che cavalca al ralenty, coi capelli al vento. Commento di uno spettatore: «T’aavevo detto che eravamo venuti a vede’ ‘e frociate».

 

Cinema Planet, Guidonia. Visione di Good night, and good luck. Dall’inizio del film, una signora in seconda fila si lamenta per una puzza che sente solo lei «Ma che è sta puzza?», chiede al marito, che non sente niente. Si volta, si gira, annusa, cerca conferma dai vicini: «Ma naa sentite sta puzza?». Gli altri spettatori, generalmente un pubblico poco esigente, la ignora. Alla fine del primo tempo, la signora si alza e comincia a ispezionare i sedili, le scarpe dei vicini, le scale accanto alla sua fila di posti. Niente. «Aò, io sento ‘na puzza…». Qualcuno azzarda una spiegazione «Sarà sto firm demmerda». Il film ricomincia, la signora è in piedi, sta cercando di riprendere posto al buio, passando davanti a tutti. Da dietro a me, una voce maschile suggerisce «’A signo’, me sa che si ‘nte metti a séde scenne Giorg Clunei e ce dice aò, io gnaa faccio senza quella che sente ‘a puzza».

 

Planet, Guidonia. Mulholland Drive. A metà del film, molti spettatori lasciano la sala. Di uno di loro, riesco a carpire l’elaborato giudizio critico: «Ma vaffanculo a te e sti cazzo de firm do nse scopa e nse mena».

1 thought on “Cinema periferico: visioni estreme

  1. Elisa

    Ehi,leggendo questo post ho capito che abitiamo nella stessa zona! Ti voglio conoscere, ti prego, mi piace troppo il tuo blog

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