Vite perpendicolari

A Sampierdarena c’è una Chiesa, barocca proprio. Si chiama San Martino, oppure Santa Maria della Cella. Dentro, lo sanno bene gli stranieri e i professori di Storia dell’arte, c’è una pala, del Grechetto. Ogni volta che ci vado è chiusa, eppure continuo ad andarci, alla stessa ora. Oggi pure ci sono andata a quell’ora: chiusa.

Ho bussato al portale di bronzo, con le nocche mie. Sono andata a bussare a tutte le porte. Nessuno. Niente. Chiusa.

Ho chiesto, ma è mai aperta? Sì, dice uno, ma è poco più che bambino: è ragazzo. Sì, a volte è aperta, ma ora no. Fa il fruttivendolo davanti alla Chiesa.

Gli chiedo, ma quando, aperta? La domanda non si capisce, e lo so pure io. Lui alza le spalle.

Allora penso che adesso mi metto a fermare tutti quelli che passano, e la prima che passa è una signora bionda e bassa sui 60 anni, quindi lei, mi dico, lo sa.

E infatti lo sa: certo che la Chiesa è aperta, ma devo venire prima, alle 11.30, e invece adesso è mezzogiorno. Sennò posso ritornare alle 4.30? No, io non posso, io ho l’aereo: io non sono di qui.

Siccome non è la prima volta che vengo devo parlare col parroco, capisce? Si, capisce, ma allora devo provare ad andare sul retro, ché c’è la sagrestia, dove stavo bussando? Non lo so, ho provato, il parroco c’è? Si, c’è, però mica può aprire la Chiesa per una persona, comunque ecco, sta qua, il parroco.

Mi fa strada dietro la Chiesa, suona a un citofono, dice sono Laura, entra da quella porta, dice chiedi del parroco, qui. Io suono e mi risponde una che mi pare sempre lei, invece è un’altra, e infatti mi chiede chi sono, e io dico cerco il parroco, mi manda la signora Laura.

Quest’altra dice ah, se la manda Laura aspetti che le apro. Dice dentro c’è una porta marrone, basta aprirla e quella è già la Chiesa.

Io entro e dentro c’è Laura che mi accoglie come se non mi riconoscesse, io dico cercavo il parroco, mi ha aperto una signora; lei dice ah, sì, e come se abitassi pure io lì mi dice aspetta chè chiamo il Monsignore.

Il Monsignore arriva subito dopo e dice saluti; io dico mi chiamo Daniela Ranieri. Dice venga, si deve sposare? Dico no, io sono di Roma.

Lui dice ah, allora venga, si accomodi, come se essere di Roma dispensasse da gran parte dei sacramenti. E infatti siamo nel suo studio, lui è su una poltrona da cardinale, io su una sedia, a spiegare che voglio. Ormai siamo in ballo, e chi lo avrebbe detto. Prima ero fuori – io non sono di qui – ora gestiamo questo incrocio.

Dico ho visto su un libro di storia dell’arte che qui c’è una pala, del Grechetto, le volevo chiedere la cortesia di vederla. La Chiesa chiude alle 12, non lo so? No, non lo so, infatti pure la volta scorsa erano le 12. Ed era chiusa, dice lui. Dico sì, era chiusa. Infatti, dice.

Che poi, dice, nella Chiesa ci sono altre opere come una Madonna dell’Ulivo, che ci vengono pure dal Portogallo a vederla, e poi adesso la chiesa è chiusa, e non si possono riaccendere le luci, capisce; io dico certo, è chiaro.

Ma volevo solo vedere la pala e fare delle foto? Si, esattamente, dico. Lui dice che è molto bella ma non famosa anche se è andata a Torino dove l’hanno esposta insieme alla Sindone. Lui e io sappiamo che il mio obiettivo è vederla.

Poi io dico va bene, allora la prossima volta vengo a vederla di mattina presto, e lui dice che, è venuta apposta a Genova per vederla? E io dico no, peró. E lui dice che è tardi e allora io dico a un prete che questa pala l’ho messa nel mio libro, ne parlo nel mio libro – dove parlo pure male dei preti –  e lui dice è andata pure a San Pietro, e tutti e due ci stiamo chiedendo cosa avevo di meglio da fare che andare a vederla a Roma, allora io per spezzare dico infatti.

Poi sbadiglia, e poi non so che succede perché dice va bene, ora gliela faccio vedere, mi segua. E io mentre lo seguo penso: sono scomunicata.

Entriamo da una porticina che dà sulla navata laterale, una piccola entrata per preti. La pala è nell’altra navata, ma la vedo già da qui. Solo che prima mi deve dire che la Vergine dell’Ulivo, e che la pianta del ‘200, e che il barocco.

Poi è arrivata Laura che si sentiva in dovere da farmi da guida, e come si presenta una casa – e vedi qua abbiamo tirato giu il tramezzo, e questo è il tinello e la stanza di mio figlio che dopo che lui se n’è andato è rimasta tale e quale – mi mostra le cose e le spiega, mentre io so solo che devo fare una foto da vicino a quel buco di fuoco sul muro.

Il Monsignore sparisce, allora io dico posso andare a vedere, e lei dice sono 15 anni che lavoro qua, e io penso al lavoro e alla preghiera, e piano piano, passando tra i banchi in un luce dorata che mi immerge gli occhi nel puro giallo, arrivo davanti, sotto, la pala. È la visione di San Bernardo di Chiaravalle, è la mia pala.

Cristo è sulla croce, ma ha staccato le mani dal legno, le ha schiodate. Con la sinistra si appoggia sulla spalla di Bernardo, inginocchiato ai suoi piedi. Con la destra, si preme il costato, dove si apre la ferita della lancia. Dalla ferita fa guizzare il sangue nella bocca di Bernardo, che beve. Beve il sangue. Beve il sangue mentre io, Daniela Ranieri, lo guardo, e Laura non so dove sia.

In basso, rossiccio e livido, appare lui, il Diavolo in persona, schiacciato dal piede di Bernardo che usa la sua groppa per salire verso lo zampillo di sangue, e io penso devo mangiare più mirtilli, devo mandare un messaggio, devo lavorare di meno, che bello, ho un quaderno nuovo, mi chiamo Daniela, per fortuna che non fumo. Laura ricompare e dice che la croce non ha la parte sopra perché mica Gesù portava tutta la croce, solo la parte sopra, ché quella sotto era piantata nel terreno: i romani.

Poi dice tu sei di Roma Roma? Sì, di Roma Roma. I romani ne sanno una più del Diavolo.

Si siede sul banco alle mie spalle e ripete il nome del Santo che davanti a noi continua a bere, come se fosse un suo parente morto che stiamo vegliando. Bernardo di Chiaravalle. Bernardo di Chiaravalle. Poveretto. Eppure, guarda che si è inventato prima di crepare.

Il Grechetto lo chiama El Greco, che è un altro pittore, ma nessuno glielo ha mai detto, e non lo farò certo io.

Dico voglio fare un’offerta, dice no, non a me: a Vittorio. Dico la lascio nella cassetta, dice no, ora chiamo Vittorio. Va verso le scale e urla Vittorio.

Poi mi fa capire che si è fatto tardi e me ne devo andare, ma come fanno i genovesi e cioè dicendomi che le faceva piacere che ero riuscita a entrare, e ringraziandomi della visita. Poi chiama di nuovo Vittorio, ma io quei due spicci da 2 che ho in mano li sto già mettendo nella cassetta, e penso che non vale la pena far scendere Vittorio per 4 euro.

Lei guardando male verso le scale – e Vittorio – dice sì, mettili lì dalla Madonna, e sì, accendi il cero, che poi è un lumino elettrico, per la Grazia, ma io non ci credo, e infatti non si accende.

Una risposta a “Vite perpendicolari”

  1. Per la verità… io sono andato sulla pagina internet della chiesa per vedere gli orari, e ho telefonato chiedendo se qualcuno poteva aprirmi nel pomeriggio. Dato che alle quattro del pomeriggio c’era un battesimo, sono andato alle tre. Tutto qui.

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