Ultimi giorni della campagna presidenziale negli USA.
Qualche mese fa un particolare della biografia di Obama mi ha colpito: perchè un 34enne scrive un libro sulla sua vita? (Dreams from My Father,1995); dico non è presto? che biografia vuole scrivere uno, di se stesso, a quell’età?
Obama, nelle primarie, fa la sua corsa fuori dal giro grosso del suo partito, si candida contro l’avversario più forte e potente.
Quando scrisse il suo primo libro Obama non era un politico, pare non pensasse neppure alla carriera politica. Ma la chiave del suo successo era lì. Nella parola.
Obama è riuscito a sconfiggere l’industria dei Clinton raccontando. Non aveva dalla sua le cose fatte, le esperienze. Si è messo a raccontare l’America che voleva, insistendo di non essere il solo a volerla: “Yes we can”. Quando Veltroni ha deciso di fare suo lo slogan sono rimasto impietrito dalla traduzione adottata: “Si può fare”. Che errore trasformare tutta la forza di quelle parole, il cui centro sta nel “we” -“noi”, con l’impersonale “si”: chissà chi? loro, non noi. E difatti. Nessuno ce l’ha fatta, anzi.
Da noi Obama, come Mc Cain, sarebbe impossibile. Tutti e due sono outsider, noi invece siamo nel paese senza le preferenze elettorali: decidono tutto i partiti, come potrebbero decidere contro i loro stessi vertici?
Da noi l’autorità politica più rappresentativa -il presidente del consiglio- può dire un giorno una cosa e il suo contrario il giorno dopo: la parola non vale niente. Il valore della parola è infatti nella fiducia che in essa si può riporre. Il potere sì, quello vale.
Obama rappresenta la possibilità di arrivare al potere attraverso la parola, rovescia la situazione nella quale ci troviamo noi. A 34 anni, quando scriveva le sue memorie, non lo sapeva ancora. La sua fortuna politica sarebbe iniziata otto anni dopo, durante una convention dei democratici a Boston. Aveva 42 anni e stava per fare un discorso.