Che poi se io fossi la salma di Albert Camus che ne so di dove vorrei andare.
Nemmeno i figli, con tutto che sono gemelli, si sanno decidere:
-no alla strumentalizzazione, dice uno;
-sì al riconoscimento onorevole, dice l’altra.
Vediamo: vinco il Nobel a 44 anni e con quei soldi mi compro una casetta, che mi ricorda l’Algeria della mia infanzia, ed è lì che mi seppelliscono. Un bel posto, intimo, mi dicono. Se no: traslocare al Pantheon, nel quinto, coi grandi della Patria, tra i marmi funerei.
“Che me ne fotte” penserei, se fossi la salma di Albert Camus, ripensando alle notti a St. Germain Des Pres. Quando, almeno per come la racconta Boris Vian, un Sartre un po’ sbronzo non trovava, per quanto si desse da fare, nessuna che lo accompagnasse a casa. E a me invece rispondevano di sì, prima ancora che facessi qualunque domanda.
Ah, e alla giustizia e alla libertà, penserei. Che tanto c’avevo fatto l’abitudine.