Uno che vale uno è un mezzo

-Sono un elettricista vorrei occuparmi di energia,

-Sono fisioterapista vorrei occuparmi di sanità,

-Faccio il sommelier, voglio occuparmi di agricoltura,

-Sono insegnante nella scuola primaria vorrei occuparmi di istruzione,

e difesa del territorio, difesa del territorio, difesa del territorio; presidio e difesa del territorio.

La sfilata degli uomini e delle donne che uno per uno valgono uno ci dice che per ciascuno di loro c’è una competenza e un settore di competenza. Una riduzione dell’uomo al suo specifico ambito, una riduzione della complessità allo specifico tecnico: un recinto, strettino. Una logica da centro per l’impiego a tempo determinato, un linguaggio da smaltimento delle risorse umane.

Il ruolo assegnato alla persona eletta è la scomparsa della persona in favore del riproduttore. Lo dice la critica all’articolo 67 della Costituzione: rappresentare una nazione implica uno slancio fuori di sé, oltre le proprie forze; implica un arbitrio: un libero arbitrio, perché non c’è slancio senza volontà. Ma se la volontà è decisa dall’intelligenza collettiva non c’è bisogno dell’opera dell’uno, se non della sua funzione meccanica, di esecutore. L’uno deve eseguire, privato della sua volontà. Privato in pubblico, esposto a tutti, della sua volontà; privatosi di sua volontà dell’arbitrio: la decrescita felice dell’ego.

La cultura del totalitarismo cibernetico come nuova religione, scrive nel capitolo L’apocalisse della rinuncia al sé Jaron Lanier in Tu non sei un gadget (Mondadori, 2010). Il capitolo prima si chiama: Persone scomparse, suggerisce di evitare un comportamento online tale da poter esser confusi con un macchina, con un algoritmo: ci ho ripensato quando ho visto gli Eletti pubblicare, tutti, lo stesso status su Facebook.

Uno che vale uno non mi interessa. Non potrà mai fare nessuna rivoluzione uno che pensa di valere uno. Identico a sé, identico agli altri.

C’è stata una rivoluzione, una volta in Italia, l’hanno fatta persone che pensavano di poter fare tutto: ingegneria e pittura, magistratura e poesia: dura tutt’ora. 

Uno che vale uno è un mezzo: l’abrogazione dell’uomo in favore dell’uomo strumento.

Non mi affascina nemmeno il SuperUno che può disporre di centosessantadue Eletti per dirgli quando pigiare il bottone. Il SuperUno che può mettere in bocca a migliaia di uno frasi uguali e diffondere l’idea che il Fondo monetario internazionale lo si capisce grazie a un post su un blog, rassicurare il conflitto dentro i confini di chi la pensa come te. Chiudersi un cerchio intorno, definirsi in base alla spersonalizzazione della frustrazione comune.

A me, invece, piace l’uno che si sforza di valere due.

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