Mia Cara Olimpia – Intervista a Diego Bianchi

Come i romanzi di Dumas, pubblicati un pezzo alla volta, come Orson Welles coll’invasione degli alieni, come Hemingway che dice a Gertrude Stein d’essere felice perché scrive e s’inventa tutto. Però coll’accento di Roma.

È uscito Mia Cara Olimpia di Diego Bianchi, Zoro. Il racconto d’un inviato immaginario alle olimpiadi di Pechino del 2008.

Una cronaca che funziona con la felicità di un gioco che viene bene. Un gioco che cresce, con i fatti sportivi sullo sfondo, e diventa l’avventura di chi senza l’accredito non si arrende e allo stadio ci vuole andare lo stesso.

Soprattutto: Mia Cara Olimpia fa ridere dall’inizio alla fine.



Chiediamo all’autore:

senti, ma dove sei adesso?
«A New York, a fare lo slalom tra i tornado, in parallelo con la tournée estiva della Roma. Ma è solo un caso (che io sia dov’è la Roma, che si sia tra i tornado già meno)».

Ma come a NY le olimpiadi non sono a Londra?
«Però ho fatto scalo a Londra, viaggiando con la British Airways che ti fa mangiare pollo e ci scrive sopra che è il pasto dei campioni. E poi le olimpiadi sono tutte intorno a noi. Quattro anni fa per me erano a Cupra Marittima e a Caselle in Pittari, per dire, invece per tutti erano a Pechino».

C’erano cascati tutti, eh?
«C’erano cascati in molti, ma già che ci cascassero in pochi all’inizio mi pareva impossibile. Eppure, tanta era la voglia di farsi raccontare olimpiadi meno patinate di quanto evidentemente faceva la media del milione di inviati a Pechino che il mio seguito, avventura dopo avventura, cominciò a crescere. Poi la rete, il passaparola e tutte quelle cose fecero il resto. E senza Facebook o Twitter.
All’epoca andavano i blog. E sì che sarebbe bastato chiedermi una foto, un video, invece niente. Forse chi mi seguiva aveva paura che il dubbio svanisse male e preferì accontentarsi di quel molto, pure troppo, che gli davo a parole».

Ora però puoi dirlo: ma Laure, alla fine, t’aveva guardato davvero?
«La Manaudou, di tante atlete belle, non è mai stata tra le mie preferite. E però avevo un debito professionale nei suoi confronti per via dell’incredibile numero di pagine che fece fare a noi di Excite, il portale dove lavoravo al tempo, con la pubblicazione delle sue foto hard. Citarla nelle mie fantasie olimpiche fu un omaggio, tributo, riconoscimento. E poi mi piaceva l’idea di diventare per qualche secondo più appetibile del nuotatore italiano fisicatissimo e bellissimo che la stava mollando.
Era una specie di rivincita dell’uomo medio, calvo e peloso. E però, ormai si è capito, era pure tutto inventato».

Di quell’estate qual è stata la cosa più comica?
«Gianluca Neri e Ilaria Mazzarotta conducevano un programma radio su Rai 2 intitolato Scatole cinesi, dedicato alle olimpiadi. Dopo i primi racconti presero a telefonarmi per collegarsi con me a Pechino. Fui nel dubbio se rispondere come fossi da Pechino o negarmi per pietà nei loro confronti. E siccome sono buono e poco sicuro delle mie capacità attoriali, mi negai fino alla fine dei giochi. Allorché mi intervistarono e rivelai l’inganno in diretta.
Un mio carissimo amico venne a sapere così, via radio, che mi ero inventato tutto e per un po’ di giorni quasi mi tolse il saluto.
Zambardino di Repubblica invece, col quale a ridosso del tutto parlai spesso, si complimentò molto con me e scrisse sulla vicenda un articolo sull’Espresso, dopo la pubblicazione del quale mi accorsi che era convinto che io a Pechino ci fossi comunque andato. Per inventarmi storie, ma da lì. Imbarazzato spiegai meglio la vicenda».

Diego Bianchi al Casseta Popular di Torino – foto di Samuele Carosiello

Quante cose cambiano in 4 anni, a Pechino la Rai (che aveva un blog fallimentare per seguire i Giochi) non ti inviò, ora neanche le trasmette più, per intero, le olimpiadi. In compenso alla Roma è tornato Zeman.
«A Pechino non mi inviò nessuno, non la Rai presso la quale al tempo neanche lavoravo. Speravo mi ci mandasse il Riformista, giornale dove avevo una rubrica, ma avevano già inviato Giuliano da Empoli. Proposi loro la pubblicazione di Mia Cara Olimpia giorno per giorno sul giornale, ma la cosa fu giudicata poco riformista e non si fece. Il direttore Polito mi promise che mi avrebbe mandato a Londra nel 2012.
Però ora sono a new York e Zeman al momento credo stia lucidando i gradoni per i ragazzi a pochi km da qui».

Mia Cara Olimpia si compra su Amazon, qui, e anche se è in formato Kindle si può leggere senza avere un Kindle (basta scaricare l’applicazione). A proposito di AS Roma: Diego Bianchi con Simone Conte, di recente, ha scritto anche Kansas City 1927.

 

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