Lunga vita a Aaron Swartz

Io mi ricordo la prima volta che ho conosciuto il sito JStor. E mi ricordo anche bene che cosa ho pensato.

Ero nella biblioteca del dipartimento di filosofia dell’università di Torino e stavo scrivendo la tesi di laurea. Lì, nella biblioteca del dipartimento di filosofia, c’era un abbonamento a JStor e potevi scaricare gli articoli. Da casa no. Su JStor c’erano gli articoli che mi servivano per scrivere la tesi. Quelli che ci sono finiti dentro e quelli che ne sono rimasti fuori, quelli che sono serviti per davvero e quelli che tentavano di far fare bella figura alla bibliografia, là in fondo. E mi rendevo conto della novità. Intanto, per consultare quegli articoli non dovevi compilare la schedina, aspettare il turno di consegna del bibliotecario, non dovevi calcolare quanti libri avevi già in prestito e rinunciare ad alcuni, restituirli, richiederli il giorno dopo. Scaricavi l’articolo e lo leggevi. E soprattutto: c’erano tutti quelli che cercavi. The Art World di A.C. Danto del 1964 apparso su Journal of Philosophy, n° 61. Brown, Carroll, Fisher, Kelly, Kennick e tutti gli altri. Mica nomi famosi. Nomi che sanno quelli che scrivono e leggono le tesi di laurea.

Io mentre stavo lì a guardare sul mio computer che potevo leggere tutti gli articoli che tutti i professori del mondo avevano scritto sul mio argomento ero ben felice. E mi son detto -Certo che roba, questa internet. Cioè, più precisamente, avrei dovuto dire: l’abbonamento a internet del dipartimento di filosofia dell’università di Torino in via Sant’Ottavio al secondo piano di Palazzo nuovo. Perché a casa mia JStor: niente.

Su JStor c’è la sapienza del mondo, tutti gli articoli degli studiosi, le riviste, le pubblicazioni delle università. E mentre, al secondo piano di Palazzo nuovo, in via Sant’Ottavio a Torino, mi accorgevo che era tutto lì, a disposizione, mi dicevo -Che bello: c’è la conoscenza per tutti. E invece no. Delle volte, dopo la tesi, ci son capitato su JStor. Una tristezza. Non ti ci fan mica entrare. Dov’è l’abbonamento? Niente abbonamento? Niente da leggere allora.

Aaron Swartz nel 2011 ha scaricato quasi l’intero archivio di JStor: 4,8 milioni di file tra articoli e altri documenti. Voleva renderli pubblici.

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