La solitudine degli impotenti

A me capita questa cosa con i libri, non so se capiti anche ad altri, penso di sì. Ci son certi pezzi che mi rimangono lì. Alcuni, chissà perché. Tipo Douglas Coupland che fa scorrere l’acqua del rubinetto prima di riempire il bicchiere e bere (oh, guarda è uscito il libro nuovo). Oppure quando il figlio di uno dei protagonisti de Le Particelle Elementari si ingozza fino alla nausea in piena notte (ah, sì è uscito pure il libro di Houellebecq, va be’).

Poi ce n’è uno, saranno dieci anni che ogni tanto me lo canticchio.

La solitudine. La conosci tu la solitudine?

È nel Caligola di Camus. Il Caligola di Camus è stato il debutto di Carmelo Bene, nel 1959, a 22 anni.

Camus aveva ritirato i diritti di rappresentazione, per tutto il mondo; secondo Bene perché orripilato da una messa in scena del Piccolo di Milano, regia (e interpretazione nel ruolo di Scipione) di Giorgio Strehler. Per fare lo spettacolo ci voleva il permesso di Camus. Il ventenne Carmelo lo raggiunge all’ingresso artisti del teatro La Fenice di Venezia, dove stava per andare in scena un suo adattamento de I Demoni di Dostoevskij. Prendono appuntamento in un bar il giorno dopo. Albert Camus squadra lui e Alberto Ruggiero, che avrebbe curato la regia, e chiede «chi recita Caligola?». «Io non le basto, Maestro?», dice l’attore. Poi ordinano: Camus chiede un’aranciata. Bene e Ruggiero un doppio whisky. «Bon bon, basta e avanza» risponde Camus, che rinuncia ai diritti d’autore e li autorizza alla rappresentazione in cambio di un biglietto per la prima. Prima che mancherà, per via di un principio di infarto. Aveva la tubercolosi e poco dopo sarebbe morto in un incidente d’auto, insieme al suo editore Michel Gallimard.

La solitudine, sì, la solitudine! La conosci tu la solitudine? Sì, quella dei poeti e degli impotenti. La solitudine? Quale solitudine? Ma non lo sai che non si è mai soli? E che dovunque ci portiamo addosso tutto il peso del nostro passato e anche quello del nostro futuro? Tutti quelli che abbiamo ucciso sono sempre con noi. E fossero solo loro, poco male. Ma ci sono anche quelli che abbiamo amato, quelli che non abbiamo amato e ci hanno amato, il rimpianto, il desiderio, il disincanto e la dolcezza, le puttane e tutta la banda degli dei!

Solo! Ah, se soltanto potessi godere la vera solitudine, non questa mia solitudine infestata di fantasmi, ma quella vera, fatta di silenzio e tremore d’alberi – sentire tutta l’ebbrezza del flusso de mio cuore.

La solitudine! Ma no. La solitudine risuona di denti che stridono, chiasso, lamenti perduti. Accanto alle donne che accarezzo nel cuore della notte, quando credo di poter finalmente afferrare qualcosa di me stesso tra la vita e la morte, ormai distante dalla mia carne stanca, allora la mia solitudine s’impregna tutta dell’odore che promana dalle ascelle di quella che ansimando mi si strofina contro.

David LaChappelle – Milk Maid

Che poi magari il pezzo è datato, però ci son cose di cronaca che te lo fan venire in mente.

Una risposta a “La solitudine degli impotenti”

  1. Un 10 a questo pezzo di Camus.
    Un pezzo che resta in ognuno di noi, eccome!
    Ancora ricordo di quando l’ho letto a Teatro per la prima volta…
    “La solitudine. Tu la conosci la solitudine?”

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