Il Gladiatore, Caligola e i cavalli

Ieri è iniziato il Festival di Cannes con il Robin Hood di Ridley Scott (con Russell Crowe) e già si fa a gara a dire quanto somigli al Gladiatore. Film che come pochi altri, negli ultimi dieci anni, è entrato a far parte dell’immaginario collettivo. La sua colonna sonora è smarmellata a sottolineare la topicità del televoto nei reality della televisione; gli allenatori montano clip da proiettare nello spogliatoio, prima di giocarsi la finale.

Il Gladiatore è un film doppio o un film che ne nasconde un altro: se togli Russell Crowe ti rimangono i dialoghi a due che compongono una nuova versione del Caligola di Camus. L’imperatore innamorato di sua sorella.  Quello che fece senatore il suo cavallo, così si dice. (No, non quello «il mio regno per un cavallo». Quello è un altro).

La solitudine, la conosci tu la soltitudine? Sì, quella dei poeti e degli impotenti.

Ma di quella parte del Gladiatore non è rimasta traccia. Se non nella carriera di Joaquin Phoenix. Un attore in procinto di abbracciare i cavalli. (Sì, quello era un altro ancora).

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