Di come il più grande scrittore americano vivente abbia rischiato la vita

Eccolo lì, che scende dalla sua Cadillac argento, il più grande scrittore americano che ancora cammina. Ha appena venduto la sua Olivetti Lettera 32, per dare 20mila dollari a un istituto di ricerca a Sante Fe. Che è dove vive, che è da dove viene anche adesso.

È venuto a visionare il montaggio del film tratto dal suo romanzo: il Pulitzer 2007, che quando il film è partito il libro non era neanche uscito e mica i Coen avevano preso 4 Oscar per Non è un paese per vecchi, ancora. Mica si diceva di lui che era il più grande scrittore americano vivente, allora. E pensa che il suo agente non è mica Andrew Wylie.

Era stato anche a visitare il set. In Pennsylvania. Con suo figlio, che ha 11 anni. Lui è del ’33. Un padre tardivo. Faceva freddo. Sotto zero, pare.

Insomma tutto gira intorno a questo romanzo, che se non ce l’avete presente è un romanzo di fantascienza. Ambientato in futuro tipo Wall-E solo che al posto della spazzatura c’è cenere. Cenere dappertutto. È come quel racconto di Durrenmatt

Era Natale. Attraversavo la vasta pianura. La neve era come vetro. Faceva freddo. L’aria era morta. Non un movimento, non un suono. L’orizzonte era circolare. Nero il cielo. Morte le stelle. Sepolta ieri la luna. Non sorto il sole. Gridai. Non mi udii. Gridai ancora. Vidi un corpo disteso sulla neve. Era Gesù Bambino. Bianche e rigide le membra. L’aureola un giallo disco gelato. Presi il bambino in mano. Gli mossi su e giù le braccia. Gli sollevai le palpebre. Non aveva occhi. Io avevo fame. Mangiai l’aureola. Sapeva di marzapane stantio. Gli staccai la testa con un morso. Marzapane stantio. Proseguii.
(Natale, 1942)

Solo che questo dura 200 pagine e non è la storia della fine del mondo. È la storia di come un padre attraversa la fine del mondo insieme a suo figlio. Qualcosa che ha che fare con i “limiti della nostra umanità”, per come la dice lui. Ma che, più banalmente, potrebbe ricordarvi da vicino il vostro divorzio, o la vostra separazione, specie se di mezzo c’erano dei figli. O piuttosto potrebbe ricordarvi qualunque circostanza nella quale vi siate mai dati la pena di cercare di proteggere qualcosa.

E dunque sono in una saletta ad Albuquerque a vedere il montato: Joe Penhall, che ha scritto l’adattamento, e John Hillcoat, il regista. E sono tutti molto nervosi, un po’ perché hanno problemi a far partire la pellicola, un po’ perché c’è anche lui, Mr. McCarthy, e dalla sua approvazione dipende il futuro del loro film.

Dopo vanno a mangiare in un ristorante, là nel deserto del New Mexico. E l’atmosfera si è fatta distesa e insieme alla carne ordinano del vino e poi altro ancora. Durante la proiezione Cormac aveva preso diversi appunti, su un taccuino da reporter. Subito dopo aveva chiesto di andare al bagno e poi aveva detto che il film gli era piaciuto. Molto. È così ora festeggiavano con la Fat Tires, la birra locale. E parlavano di questo e di quello, finché non hanno fatto tardi e Joe e John non si sono fatti dare un passaggio, sulla Cadillac argento, fino all’aeroporto.

Il mattino dopo Cormac gli aveva mandato i suoi appunti. Con dei suggerimenti per il film, che sono stati felici di accogliere. E Joe e John hanno tirato un bel sospiro di sollievo, perché sul volo di ritorno avevano realizzato di aver lasciato guidare nel deserto fino a Santa Fe, al buio e con tutto quello che avevano bevuto, il 76enne più-grande-scrittore-americano-che-ancora-cammina.

Sì, ok: il titolo del romanzo è La strada e il film, con Vigo Mortensen, molto probabilmente, non uscirà in Italia. Perché i distributori pensano che sia deprimente. Mai avuto a che fare col tentativo di proteggere qualcosa, loro.

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