Robert Capa e lo sbarco in Normandia

capa

Celebrazioni per l’anniversario dello sbarco in Normandia. Robert Capa era lì per fare le foto, fedele al suo motto: «Se le tue foto non sono buone, vuol dire che non eri abbastanza vicino».

È su un mezzo da sbarco diretto al settore Easy Red di Omaha Beach. Scatta la prima foto da bordo, un marinaio impaziente lo spinge in acqua con un calcio. Al collo ha due Contax e una Rollei. La luce è grigia e scarsa. Tempesta di proiettili. Si nasconde fra gli anticarro, ha paura. Ma raggiunge la spiaggia. Scatta «dal punto di vista di una sardina». Nel caos, guarda e vede. Resta all’ inferno un’ ora e mezzo. Quando una nevicata di piume gli fa capire che una granata ha fatto esplodere i giubbotti di due soldati con quel che c’ era dentro, decide di non rischiare ancora. Prende al volo la nave Chase di rientro a Weymouth; in porto consegna i rullini a un motociclista, ma subito s’ imbarca di nuovo: la guerra è in Francia, il suo posto è lì.


Qualche giorno dopo scrive alla famiglia, è preoccupato per le foto, se siano arrivate, come sono venute. Il picture editor di Life, la rivista che lo pubblicherà, lo aveva già rassicurato dicendogli che le sue foto erano le migliori. Ma deve dargli anche un’altra notizia: di 106 immagini scattate, solo undici sono appena leggibili. «Colpa dell’ acqua di mare» è la prima versione. Poi la verità viene a galla:

per troppa fretta un tecnico in camera oscura ha esagerato la temperatura dell’ asciugatore, e i negativi sono colati come cera al sole, portandosi via la traccia visiva dei primi, letali, confusi, eterni attimi dello sbarco in Normandia, 6 giugno 1944, il giorno più lungo del Novecento.

Le undici immagini superstiti consacrano comunque Capa come eroe del foto giornalismo di guerra. Ma ci lasciano con la consapevolezza che quello che è rimasto di quel servizio non è niente rispetto a quello che c’era.

Nell’ ufficio londinese di Life John Morris aspetta le foto col cuore in tumulto: la deadline per pubblicarle sul prossimo numero è strettissima. «Rush rush rush!» urla ai tecnici di laboratorio. E quelli, stravolti, fanno il pasticcio.

Michele Smargiassi

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