Perdere ancora, perdere meglio

Quando la sirena scatta sullo zero punto zero, LeBron James ha la palla in mano. Scarpe nere, calzini bianchi, divisa blu con bordi gialli e inserti granata; sul petto, scritto grande, CAVS e sotto il numero 23. LeBron James ha la palla e quando la sirena suona la fa rimbalzare via e si mette a urlare. Cleveland ha pareggiato la serie, i Cavaliers hanno vinto la prima partita della loro storia in una finale NBA.

Cleveland è una città di circa 400mila abitanti nello stato dell’Ohio, nord-est degli Stati Uniti; si trova sulla sponda del lago Erie, dall’altra parte del lago c’è il Canada. Cleveland è una città con una maledizione. LeBron James è uno del posto: è nato ad Akron, Ohio, 40 miglia a sud di Cleveland, nel 1984. Va a al liceo alla scuola cattolica St. Vincent-St. Mary; il 18 febbraio 2002 la rivista Sports Illustrated gli dedica una copertina: LeBron fa una faccia buffa mentre sta per lanciare una palla, ha la maglia bianca con la scritta Irish in verde, la divisa della sua scuola, il numero 23. Il titolo della copertina di Sports Illustrated è The Chosen One, il prescelto. L’anno dopo a Cleveland tocca la prima scelta tra i giocatori provenienti dalle scuole secondarie e dalle università: sceglie LeBron James. Nella parte superiore della schiena, in enormi caratteri ripassati, da una scapola all’altra, da sinistra verso destra, LeBron si tatua CHOSEN•1.

La maledizione di Cleveland è di non vincere: è la città con la peggiore storia sportiva degli Stati Uniti. Le squadre della città di Cleveland, nei maggiori sport professionistici non vincono un titolo da 148 stagioni. L’ultima volta è stata nel 1964 quando i Browns hanno vinto la NFL, il campionato di football. Tifare per una squadra che non vince è frustrante, allo stesso tempo ti dà la sensazione di appartenere a una comunità speciale; quando arrivi vicino a vincere, ti sembra che la giustizia sia pronta per essere ristabilita. L’unicità della comunità cui appartieni sta per essere riconosciuta, il mondo sta per rimettersi finalmente in ordine: puoi quasi dare un senso a quella sofferenza che hai patito.

Ogni tanto posso vincere anche io

Stanislas Wawrinka è un tennista professionista, svizzero, di Losanna, città di lago e di confine; viene preso in giro per la buffa trama a quadri dei pantaloncini colorati che sono la sua divisa di gioco. Il 7 giugno del 2015 Wawrinka ha vinto il Roland Garros, uno dei quattro tornei di tennis più importanti del circuito professionistico. In conferenza stampa a Parigi, dopo aver vinto il Roland Garros, Wawrinka ha detto – Io non sono forte come i quattro più forti giocatori al mondo ma ogni tanto posso vincere anche io. Wawrinka aveva portato i suoi pantaloncini colorati nella sala della conferenza stampa, li aveva sistemati davanti al microfono e aveva detto– Oggi hanno vinto anche loro.  Wawrinka si è fatto fare un tatuaggio, nel 2013, la famosa frase di Samuel Beckett: Provare, fallire. Non importa, provare di nuovo, fallire di nuovo, fallire meglio. Fail: fallire, sbagliare, perdere.

Uno degli altri tatuaggi di LeBron James è Gloria, il nome di sua madre: Gloria James. È sul deltoide destro, scritto in caratteri svolazzanti, incorniciati da una grande aureola circolare, vicino a una corona, una stella, e la scritta KING. Il padre di LeBron James è probabilmente un compagno di scuola di Gloria che rimane incinta a sedici anni. Il bambino prende il cognome della madre e cresce solo con lei. Quando inizia a giocare con i Cavaliers, nel 2003, tiene lo stesso numero di maglia che usava alla scuola superiore, il numero di maglia di Michael Jordan, il numero 23. La sirena suona, l’orologio è su zero punto zero, LeBron James urla e sbatte la palla a terra, la palla rimbalza via: Cleveland ha pareggiato la serie, per la prima volta nella sua storia Cleveland ha vinto una partita nelle Finali. È la seconda volta che i Cavs giocano le Finali, le partite che seguono la stagione regolare tra le due squadre che hanno vinto i play-off. Al meglio delle sette gare vince il titolo NBA chi raggiunge per primo quattro vittorie. Nella loro prima Finale, 2007, i Cavs non avevano vinto nessuna partita: 4-0 contro i San Antonio Spurs. Quest’anno le Finali sono Cleveland Cavaliers contro Golden State Warriors. I Golden State hanno in squadra il giocatore che è riuscito a togliere a LeBron James il titolo di giocatore decisivo della stagione regolare 2014/2015, Stephen Curry.

Stephen Curry, come LeBron James, è nato ad Akron, Ohio: stesso ospedale, quattro anni dopo, nel 1988. La famiglia Curry è in Ohio di passaggio: il padre di Step Curry, Dell Curry, è un giocatore di basket professionista, gioca a Cleveland, nei Cavaliers, quando Stephen nasce. Pochi mesi dopo la famiglia Curry si trasferisce a Charlotte, North Carolina. Dell Curry va a giocare per gli Hornets, tuttora è il giocatore che ha segnato più punti nella storia della squadra. È forte nei tiri da lontano, quelli che valgono tre punti, gioca con la maglia numero 30. Stephen Curry è alto 1 metro e 90 centimetri e pesa 86 chili, non molto per le media della NBA; Stephen Curry, ritenuto fragile ed esile, non è stato una prima scelta. I Golden State Warriors, nel 2009, lo prendono come settima scelta. I Golden State Warriors sono la squadra di Oakland, California, zona della baia di San Francisco. Nel 2009 Stephen Curry sceglie la maglia numero 30: lo stesso numero di suo padre. I Warriors non vincono un titolo dal 1975, quando batterono la squadra favorita, i Washington Bullets, per 4-0.

Le Finali di quest’anno, le finali del 2015, erano Cleveland contro Golden State: Cavaliers contro Warriors, LeBron James contro Stephen Curry. La squadra che non ha mai vinto contro la squadra che non ha quasi mai vinto. La squadra del giocatore più forte, del Prescelto, contro una squadra con un grande gioco collettivo e un grande singolo, molto forte nei tiri da tre, che gioca con la maglia numero 30.

L’arte di vincere

Nel 2003 il libro di Micheal Lewis Moneyball, l’arte di vincere in un gioco sleale entra nella classifica dei best seller del New York Times e ci resta per diciotto settimane. Racconta della stagione 2002 degli Oakland Athletics. Nell’ufficio della squadra di baseball di Cleveland, gli Indians, avviene il primo incontro tra Peter Brand, giovane laureato a Yale che ha delle idee personali su come selezionare i giocatori con cui comporre una squadra di baseball, e Billy Beane, il direttore sportivo degli Oakland Athletics, che ha il problema di formare una squadra competitiva con pochi soldi. Per combinazione il primo incontro dei due protagonisti del libro avviene tra le squadre delle stesse città che nel 2015 si affrontano per vincere la NBA: Cleveland Ohio e Oakland California. Nel 2011 la Columbia Pictures produce un film basato sul libro di Micheal Lewis, Moneyball: racconta la stagione 2002 degli Oakland Athletics, ovvero di come il direttore sportivo Billy Beane (Brad Pitt) e il suo assistente Peter Brand (Jonah Hill) usino idee rivoluzionarie per assemblare una squadra di baseball; di come queste idee funzionino e quella squadra riesca a stabilire il record di vittorie consecutive della Major League di Baseball, venti partite vinte di seguito; e di come, quella squadra, non riesca a vincere l’ultima partita, quella che vale il titolo. Di come si trasforma una squadra di perdenti in una squadra che comincia a vincere alcune partite, arriva a vincere molte partite, ma al momento decisivo perde. Nel finale del film, diretto da Bennet Miller e scritto da Steven Zaillian e Aaron Sorkin, a Billy Beane (Brad Pitt) viene offerta una grande occasione per cominciare a vincere sul serio, a vincere anche l’ultima partita; una scritta bianca sullo schermo nero dice quale sarà la sua scelta mentre sua figlia, in sottofondo, gli canta

sei un perdente totale, papà; almeno goditi lo spettacolo.

Quando una stagione va male, nello sport si dice: c’è sempre il prossimo anno. Cleveland, dopo aver pareggiato la serie 1-1, si è presentata nell’arena di casa per la terza partita delle Finali 2015 e sugli spalti i tifosi e lo sponsor hanno srotolato uno striscione che diceva C’è sempre quest’anno. C’è ancora quest’anno e ce la possiamo ancora fare, nonostante gli infortuni che hanno messo fuori dal campo alcuni dei giocatori più importanti, nonostante il pronostico dica che i Golden State hanno più possibilità di vincere; nonostante i giornalisti scrivano che i Warriors hanno un gioco migliore, un collettivo solido e un grande tiratore come Stephen Curry che può essere determinante. Cleveland può ancora battere la sua maledizione, grazie a The Chosen One, il giocatore che dice – La mia città, la mia squadra.  E Cleveland vince, vince la terza partita e passa in vantaggio, vince in casa ed è davanti 2-1 nella serie. Vince la seconda partita della sua storia in una Finale NBA e poi perde tutte le altre. Il titolo va a Golden State. Durante le Finali 2015, LeBron James è stato in campo 274 minuti su 298 minuti giocati e ha avuto il possesso della palla per circa un quarto del tempo, ma non è bastato: Cleveland ha perso ancora.

Stephen Curry ha giocato in modo incredibile le ultime partite delle Finali. A gennaio del 2015 si era fatto fare un tatuaggio, una citazione della Bibbia, in ebraico, dalla lettera ai Corinzi 13,8: L’amore non perde mai, Love never fails. Fail: fallire, sbagliare, perdere. In conferenza stampa dopo l’ultima partita delle Finali LeBron non aveva dei buffi pantaloncini colorati, a quadri, come quelli di Wawrinka, aveva invece un buffo cappello in testa e ha detto – Non è per niente bello perdere. Per la prima volta dopo anni i tifosi dei Cavs pensano con ottimismo alla prossima stagione, avranno ancora LeBron e forse avranno una squadra ancora più forte di quella di quest’anno. Ma quando in conferenza stampa un giornalista gli chiede – Come lo vedi il prossimo anno? LeBron gli risponde – Non ho minimamente pensato al prossimo anno.

Valentino Rossi è un pilota di moto da corsa italiano, ha 36 anni e ha vinto nove titoli mondiali. Ha vinto un mondiale in tutte le categorie motociclistiche: 125, 250, 500 e MotoGP, è l’unico pilota a esserci riuscito. Nel 2015, a metà mondiale, è in testa alla classifica. Per alcuni anni sembrava imbattibile, aveva continuato a vincere anche quando aveva lasciato la moto favorita, la Honda, per una moto da rilanciare, la Yamaha. Per alcuni anni non ha più vinto e di quel momento ha detto – Si dice che, quando attraversi un periodo difficile diventi più forte, secondo me non è vero; sicuramente diventi più vecchio. Quando si trattava di scegliere con che numero iscriversi alle prime corse ufficiali nell’officina di un amico aveva visto un poster del padre, Graziano Rossi, anche lui pilota da corsa, e gli aveva chiesto – Graziano, ma tu correvi con il 46? Valentino Rossi ha sempre corso con il numero 46, anche dopo aver vinto i campionati del mondo, quando avrebbe potuto scegliere il numero 1.

Tifare per una squadra che non vince è frustrante, allo stesso tempo ti dà la sensazione di appartenere a una comunità speciale, perché comunque non smetti di sperare nel prossimo anno. Finite le Finali NBA 2015, dopo qualche settimana di silenzio, LeBron James ha scritto che perdere fa male, che non è contento di come siano andate le cose. Ha scritto che i suoi figli sono i suoi muscoli e ha promesso di fare meglio.

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