Le piattaforme di trivellazione del web

[questi sono gli appunti per il mio intervento di ieri al TEDx di Torino, la versione locale e indipendente del TED, che si è tenuta al Politecnico di Torino. Li metto qui così chi vuole può seguire i link.]

L’azienda per cui lavoro è nata dieci anni fa da un’idea di uno studente di questa stessa università, con un investimento iniziale di 30mila lire. L’idea era, ed è ancora, di dare la possibilità a tutti, senza una barriera di ingresso, di pubblicare contenuti sul web.

Per lavoro ho aperto un blog e per lavoro ne leggo molti. Una volta una radio mi ha intervistato e mi ha chiesto se è possibile considerare un blog un’opera d’arte. Nonostante la tentazione non potevo sottrarmi alla domanda. E ho pescato il primo esempio che mi veniva in mente.

Ho pensato a Diego Bianchi, conosciuto anche come Zoro, che fa la cronaca delle Olimpiadi di Pechino (2008), sul suo blog: invenzioni e cose personali mischiate ai fatti sportivi che, in quel momento, avvenivano sotto gli occhi di tutti. I racconti delle avventure della nazionale di softball venezuelana, degli sguardi di Laure Manaudou, degli intoppi che quasi impediscono l’ingresso allo stadio per vedere correre Usain Bolt, lo scoop sul misterioso doping giamaicano, l’ultima cena a base di cane. Anche la Rai aveva un blog per seguire le Olimpiadi. Ma quel blog non ebbe seguito: chiuse dopo pochi giorni, perché chi lo teneva si era risentito, si era offeso per i commenti ricevuti. La Rai, ovviamente aveva tutti i mezzi per seguire adeguatamente le Olimpiadi. Zoro no. Eppure il suo feuilleton in stile gonzo-journalism riscuoteva un gran successo. Lo invitavano, lo cercavano per intervistarlo. Lui diceva di no a tutti, per non svelare che lui a Pechino non c’era mai andato. L’idea, anzi, gli era venuta proprio quando non aveva spuntato l’accredito stampa per volare in Cina. La sua cronaca era in diretta da Cupra Marittima, provincia di Ascoli Piceno. L’aveva data a bere a tutti. Aveva stracciato la Rai, mentre stava in vacanza con la famiglia.

Mia cara Olimpia di Diego Bianchi, pur con al sua forza narrativa non è (ancora) diventate un libro. Anzi se Diego non avesse avuto un back up si sarebbe perso del tutto perché la piattaforma su cui stava, Excite Italia, quest’estate ha chiuso tutti i suoi blog. Zoro si ritrova con 7 anni di link rotti in giro per il web. Se penso a un blog che è diventato un libro non devo andare molto lontano. Mi basta pensare a chi ha vinto l’ultimo Premio Campiello, poche settimane fa: Michela Murgia che esordisce con Il mondo deve sapere. Che prima di essere un libro (e poi un film Tutta la vita davanti di Paolo Virzì) è stato il blog dove Michela registrava le sue quotidiane esperienze di lavoro in un call center. Quel primo blog era su Splinder, una piattaforma il cui destino non lascia dormire sonni particolarmente tranquilli ai suoi utenti.

Se penso a un passaggio tra web e carta, per arrivare a un libro, di maggiore complessità e con un elevato tasso di interazione penso all’esperienza di Gianluca Neri. Un libro iniziato per scommessa (con un altro scrittore, Giuseppe Genna): una riscrittura della Guida Galattica per autostoppisti di Douglas Adams. I primi capitoli vengono pubblicati sul Blog di Gianluca e il progetto va avanti considerando le indicazioni che vengono dai commenti dei lettori, che chiedono di insistere su una cosa a scapito di un’altra. Poi chiama un giornalista, vuole pubblicare un trafiletto e chiede l’indirizzo Facebook della pagina del progetto. Gianluca non ha la pagina e il pezzo non esce. Il libro va avanti, sempre con l’interazione dei lettori e dopo altri capitoli arriva la chiamata di un editore. Questa volta la pagina Facebook è bella e che pronta e, tra versione in italiano e in inglese, conta 10.000 isctitti che forniscono un ulteriore contributo allo sviluppo del libro. Poi arriva il problema degli ultimi capitoli che, ovviamente, non possono essere pubblicati sul web. Ma l’interazione non si ferma. Gianluca, per non farsi distrarre, consegna tutte le sue password a qualcuno di fidato e stacca con i social network per buttarsi nella scrittura del finale del libro: Il grande elenco telefonico della Terra e pianeti limitrofi. Ma non da solo: usando Google Wave anche questa si trasforma in un’esperienza collettiva: la bozza viene, in tempo reale, cioè mentre l’autore la compone, editata e “impaginata” da chi si è collegato con lui e ha ricevuto l’accesso a quel documento. (il progetto Google Wave è finito presto.)

Abbiamo toccato l’argomento Social Network. Facebook non costituisce solo il maggior richiamo per giornalisti che vogliamo scrivere un articolo sul web. Un blogger di vent’anni e di poche pagine viste al giorno, una mattina ha avuto l’urgenza di mettere per scritto che il mondo sarebbe stato un posto migliore se si fosse letto di più. Ha avuto l’idea di organizzare una giornata in cui ciascuno avrebbe regalato un libro a uno sconosciuto. Si tratta di Alberto Schiariti, l’iniziativa è Leggere, leggere, leggere!, si è tenuta il 26 marzo scorso e i profili dell’evento su Facebook hanno superato i 250mila iscritti.

Ma sul fronte social network non c’è solo Facebook. Lo sa bene Simone Rossi che questo febbraio ha postato sul suo tumblr, una piattaforma di blog che somiglia a un social network, il seguente messaggio: «ho scritto un libro costa 10 euro: se me lo ordinate almeno in venti, io lo stampo e ve lo spedisco. Altrimenti non vale la pena, grazie lo stesso e tanti saluti». In un mese raccoglie 130 adesioni, 1300 euro virtuali con cui stampa 500 copie e paga le spese di un tour promozionale del libro. Per numeri piccoli e soprattutto per uno scrittore semi-esordiente, è un modello che ha funzionato; ora anche Elena Marinelli che lo ha accompagnato nei reading musicali con i quali ha girato un mezza Italia, sta per fare lo stesso. Durante questo tour alcune delle persone che si sono incontrate “fuori dall’internet” hanno pensato di metter in piedi un progetto analogo ma multi-autore: «un romanzo-mostro con dentro tutta la gente brava dell’internet, dove con gente brava intendiamo quelli che sanno scrivere, gente che ha un blog ma che secondo noi sono proprio degli scrittori, persone di talento che secondo noi dovrebbero finire sugli scaffali dei lettori meno smanettoni, perché stare su internet è una gran perdita di tempo, ogni tanto, ma ogni tanto si trovano pezzi-di-scrittura che io personalmente vorrei far leggere a mia madre, o a mia zia, o al mio amico che conosce gli autori che stanno in vetrina in libreria, ma a cui non arriva la parola di uno scrittore-che-sta-su-internet». Questo progetto si chiama lo Strascico. E parte, come anticipo, da una base economica estemporanea: i 20.000€ che Federico Pucci, fondatore dell’inziativa, con Simone ed Elena, ha vinto partecipando a Chi vuol essere Milionario di Gerry Scotti.

Usare la rete per raccogliere i fondi e produrre un libro di carta. Marco Manicardi invece ha prodotto due ebook collettivi: uno sulla Resistenza e uno sulla Sfortuna, come contro-altare al tema del Festival di Filosofia di quest’anno. Il tutto nel giro di pochi mesi. Per farcela ha usato i social network. Anche qui non tanto Facebook: «Ogni appello su Facebook alla scrittura era un appello a vuoto; sarà perché è gente che conosci di faccia, sarà che non gliene frega niente, ma su Facebook abbiamo raccolto poco». O Twitter: «che è un’apparecchiatura simplex, cioè monodirezionale, con alcuni momenti fastidiosissimi di half-duplex, cioè come i walkie talkie, e che anche lì, se vuoi procacciarti degli scrittori, stai fresco». Due strumenti utili per la promozione, a cose fatte, ma scarsi dal punto di vista del reclutamento, dove invece si rivela fondamentale Friendfeed che per il panorama italiano rappresenta un polo di aggregazione unico. Qui l’account del Many (il nick di Manicardi sul web), una volta lanciata la proposta è passato nel giro di poche ore da 30 a un centinaio di iscritti, ricevendo altrettante mail di adesione.

La maggior parte degli autori di Schegge di Liberazione e a Cronache di una sorte annunciata son gente di FriendFeed, perché sul FriendFeed italiano c’è la blogsfera – ma forse lo sapete già – e gli appelli su FriendFeed diventano conversazioni, discussioni e condivisioni e, insomma, per farla breve, se volete fare un ebook collettivo iscrivetevi a FriendFeed, anche se vi farà perdere del tempo… ma alla fine cosa facciamo, poi, tutta la giornata?

Ecco che dal libro di carta siamo passati a parlare del libro virtuale. E da qui possiamo affacciarci alle sue prospettive di rottura con la forma libro, in cui siamo abituati a pensare anche quando si tratta di un e-book. Le prospettive della scrittura nativa-digitale e dei supporti adguati per la sua circolazione, la sua distribuzione e la sua conservazione. Fabrizio Venerandi mentre andava al WriteCamp, organizzato da Mafe de Baggis e Gallizio che si è tenuto a Riva del Garda, durante l’ultima BlogFest, pensava a da quanto tempo lui era uno scrittore nativo digitale e ha realizzato che erano passati 23 anni da quando si collegava con il suo Apple e il suo modem «300 baund alla BBS genovese Elios e lì c’era un area di scrittura e lettura dove si leggevano i racconti scritti dagli altri e dove avevamo iniziato a scrivere un libro collettivo, il libro telematico. Ventitré anni fa io ed altri ragazzi facevamo scrittura nativa digitale collettiva, e oggi la cosa sembra ancora una grossa novità».

Il che fa riflettere sul paradosso della scrittura digitale. Il suo rapporto con il tempo e la storia di se stessa, la sua difficoltà con l’invecchiare: «La scrittura digitale quando invecchia diventa debole come le macchine e le piattaforme su cui è stata scritta. Le BBS sono (quasi) tutte chiuse, blog nascono e chiudono cancellando migliaia di scritture digitali incapaci di fare storia di sé». Sotto il segno della mitologia dell’adesso. «Con il rischio di restare in un perenne grado zero della scrittura digitale».

Volevo chiudere con una definizione della scrittura digitale di Alessandro Bonino, che è, oltre a diverse altre cose, quello che si è inventato Spinoza.it, un blog e un forum con 7000 collaboratori e trenta coordinatori che ha recentemente partorito un libro scritto da 700 autori:

la “scrittura nativa digitale” esiste, ed esiste da anni, e non è una scrittura multimediale (multimediale, che brutta parola, ricorda i cd-rom, ve li ricordate i cd-rom?), è una scrittura testuale, è una scrittura che rompe gli schemi del romanzo, rompe gli schemi del libro, e procede, rizomaticamente, per frammenti, progressioni e ramificazioni in una narrazione infinita. È una narrazione che si dà nel suo farsi, e ogni giorno diventa più grande, e ogni giorno diventa qualcosa di diverso, con aggiunte, collegamenti, ipertestualizzazioni, una narrazione in cui è possibile entrare in qualsiasi punto e percorrerla in tutte le direzioni: un testo senza contesto, un libro senza il libro.

Come dice l’editore virtuale Gallizio ora bisogna immaginare delle piattaforme che sappiano discernere nel rumore prodotto da una scrittura che ha abbattuto le difficoltà tecniche di produzione e che presenta una potenzialità di diffusione enorme.

In un contesto italiano dove le case editrici non hanno ancora digitalizzato i loro cataloghi, e – più in generale –  abbiamo un diffuso problema di accesso alle connessioni veloci, vale la pena di ascoltare alcuni desideri dei lettori di oggi, come quelli che Mafe De Baggis ha formulato al writecamp, già citato:
Un catalogo di ebook commentabili, avere anche le versioni scartate dall’autore, disporre di più traduzioni dello stesso testo, la facilità di accesso e di acquisto dei libri digitali. A di dare retta anche alle speranze del lettore di domani: come la separazione tra contenuto e supporto, modi di condivisione delle proprie letture, fino alla socializzazione dei personaggi, permettendo gli spin-off narrativi.

Soprattutto immaginare piattaforme che da un lato possano salvaguardare e proteggere i contenuti e dall’altro sappiano trivellare quel rumore, per tirare fuori il nuovo petrolio.

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