La scomparsa del lavoro – Cosa ci fanno le macchine

In un articolo di Marco Manicardi ho letto questo passo di Kurt Vonnegut

Voi [gli scrittori di fantascienza] siete i soli che hanno abbastanza fegato per interessarsi veramente del futuro, per notare veramente quello che ci fanno le macchine, quello che ci fanno le guerre, quello che ci fanno le città, quello che ci fanno le idee semplici e grandi, quello che ci fanno gli equivoci tremendi, gli errori, gli incidenti e le catastrofi.
(1965)

Mi è tornato alla mente quando, dopo aver letto questo articolo di Marco Makkox Dambrosio sulla morte di Richard Matheson, scrittore di fantascienza, ho cominciato a leggere Tutti i racconti di Richard Matheson, pubblicati da Fanucci.

Mi è tornato alla mente, Vonnegut, perché ho letto Matheson:

Gli uomini erano macchine più delle macchine stesse. Una razza schiava, un deplorevole residuato, impotente, senza speranza.

Oh quanto avrebbero pianto e sofferto, pensò e l’idea gli procurò una cupa soddisfazione, se avessero avuto la possibilità  di percorrere le interminabili gallerie sotterranee fino alla gigantesca camera in cui si trovava la Grade Macchina, quella che considerava la fonte di ogni energia, e avessero capito il motivo per cui bisognava metterli al lavoro con l’inganno. La Grande Macchina era stata progettata per eliminare tutto il lavoro dell’uomo, per curare e seguire le macchine minori, gli impianti alimentari, le miniere.

Ma qualche saggio del Consiglio di Controllo, secoli prima, aveva avuto il fegato di distruggere il cervello meccanico della Grande Macchina. E adesso tutti i Justin Rackley avrebbero visto con i loro stessi occhi increduli la ruggine, la decomposizione, il gigantesco ammasso metallico deturpato dalla morte…

Il loro compito era quello di sognare un lavoro avventuroso, e di lavorare mentre sognavano.

Per quanto tempo ancora?
(1950)

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