La difficoltà dello stile e la fine dell’estate

Scrivere col coltello, un’appendice

La ragazza che legge un libro, al tavolo del bar, è carina e vestita con vestiti leggeri, le spalle e le gambe scoperte. È l’ultima domenica di agosto, stanno per tornare i figli e le mogli, i colleghi, la difficoltà di trovare parcheggio e gli impicci tutti. L’ultima domenica di agosto fa ancora eccezione. La ragazza ordina un’insalata, un’insalata moderna  con salmone e glassa di aceto balsamico e altre cose che provano la consapevole ricercatezza dell’insalata, felicemente immune da contaminazione di carboidrato. Non stacca di leggere neanche mangiando l’insalata.

Io bevo una birra, perché l’ultima domenica di agosto si può bere una birra anche se il pranzo è finito e l’aperitivo è lontanissimo, l’ultima domenica di agosto è un’ eccezione. Si può anche parlare con ragazze sconosciute che leggono libri sedute al tavolo accanto al tuo.

– Io quel libro lì lo conosco, ma ho avuto un problema a leggerlo.

Se già è difficile leggere e insieme mangiare l’insalata, specie se si tratta di un’insalata sofisticata con pesce e noci e glasse di aceto balsamico, leggere e mangiare e rispondere è proprio impossibile. Però se posa il libro c’è lo spazio per continuare.

– Il problema che ho avuto a leggerlo è che ho incontrato una frase così utile che ancora adesso mi serve. Mi capitano delle cose o vedo succedere delle cose e quella frase me le spiega. Si applica a spiegare delle cose che non avrei mai detto. Probabilmente delle cose che altrimenti non avrei capito. È un fenomeno che a volte succede coi libri. Resti così sorpreso da una frase che non riesci  più ad andare avanti. Ti sembra di dover usare quella frase nella tua vita. Che usarla nella tua vita sia più importante che andare avanti a leggere il libro. Già un’altra volta mi era capitato, anche se, devo riconoscere, in circostanze speciali. Ero scosso perché la mia ragazza mi aveva lasciato. Tentavo di recuperare un po’ di stima per me stesso leggendo dei libroni che non avevo mai letto, di notte, nel tentativo di non pensare a lei. A volte funzionava perché erano dei tali libroni che mi facevano prendere sonno. Ma il più delle volte mi tenevano sveglio e mi incastravo in delle frasi difficili e l’unica cosa di cui mi accorgevo è che di quelle frasi non me ne importava niente e volevo solo che la mia ragazza, che non era più mia, ritornasse con me e che lasciasse quell’altro per cui mi aveva lasciato. Una di quelle notti in cui non prendevo sonno per niente, cercavo di darmi delle arie leggendo l’Ulisse di Joyce, come se leggere l’Ulisse di Joyce mi potesse fare compagnia, come se l’aria da intellettuale che mi dava leggere l’Ulisse di Joyce potesse fare a metà di quella solitudine. Lo leggevo nel letto e ormai era notte chiara, mi era proprio passata l’idea che mi sarei addormentato e mentre lo leggo, saranno state poche pagine dall’inizio, trovo la parola Metempsicosi. Era una parola che già avevo sentito, ma in quel momento non avrei saputo dire, di preciso, per cosa stesse la metempsicosi. Però mi ero accorto che non ne potevo più di stare a letto a leggere Joyce e allora ero uscito, ero andato fino a casa della mia ragazza, che non era più la mia ragazza, avevo cercato nei paraggi la macchina del suo nuovo fidanzato, e sapevo che macchina fosse perché era anche un mio amico il suo nuovo fidanzato, e poi avevo parcheggiato. Pensavo di lasciarle un biglietto davanti alla porta di casa e nei fatti le ho lasciato un biglietto davanti alla porta di casa, molto presto di mattina, e me ne sono andato. Da allora non ho mai più letto una riga dell’Ulisse di Joyce, che per me finisce con la parola Metempsicosi.

– Che frase è?

Che bello stare al tavolo di un bar a parlare di libri, con ragazze vestite leggere, l’ultima domenica di agosto, a bere senza peso una birra di pomeriggio.

– Che frase?

– La frase di questo libro.

– È una frase verso pagina 50, direi; tu l’hai già letta perché dal segno mi sembri almeno a pagina 150.  Dice: “I ricchi odiano i poveri”. È una frase che quando l’ho letta ho smesso di leggere il Viaggio al termine della notte di Céline. Ancora non ho smesso di pensarci. Mi sembra utile per capire tante cose, quella frase.

– Sì, l’ho letta; ce ne sono tante altre dopo.

Quando arriva settembre finiscono le eccezioni.  Nel 1959 la radio-televisione francese aveva mandato Louis Pauwels e André Brissaud a intervistare Louis-Ferdinand Céline, a casa sua. Gli chiedono

Quali sono gli scrittori che sono più vicini a voi e quali invece agli antipodi?

e Céline risponde

– Mi interessano solo gli scrittori che hanno  uno stile; se non hanno uno stile, non mi interessano. Ed è raro, uno stile, caro mio, è raro. Ma le storie, ne è piena la strada: tutto è pieno di storie, pieni i commissariati, pieni i tribunali, piena la vostra vita. Tutto il mondo ha una storia, mille storie.

Vogliono un nome, gli chiedono ancora

– Parlate di stile. Ma non c’è uno scrittore…

e Céline li interrompe per dire

–  È raro uno stile. Uno stile? Ah! Sì certo. Ce ne sono uno, due, tre per generazione. Ci sono migliaia di scrittori, ma sono dei alla maniera di … borbottano nelle loro frasi, ripetono quello che qualcun altro ha già detto. Si scelgono una storia, una buona storia, e poi la raccontano. Questo non è per nulla interessante. Ho smesso di essere uno scrittore, nevvero, per diventare un cronista? Allora io metto la mia esperienza sul tavolo, perché, non dimentichiamolo, c’è la grande ispiratrice: la morte. Se non mettete la vostra esperienza sul tavolo, non avete nulla. Uno deve pagare! Quello che è fatto gratuitamente non conta nulla, vale meno del nulla. Allora, avete scrittori gratuiti.  E quello che è gratuito, puzza di gratuito. Al giorno d’oggi, voi avete solo scrittori gratuiti. Che cosa ci mostrano? Sono gratuiti.

Céline era un medico, chissà se gli è capitato di asportare appendiciti, nella sua carriera di medico. Al tavolo di quel bar era arrivato il fidanzato della ragazza che leggeva Viaggio al termine della notte. Questa è un’appendice di Scrivere col coltello, che avrebbe dovuto finire a luglio, ma quando arriva settembre vien malinconia dell’inizio dell’estate.

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