Il primo

In un caffè a Torino, ieri.

– Sono contento di averti conosciuta che eri poco più di una ragazzina. Adesso sei una donna e sei bella come allora.

– Non ricordo molto dei nostri incontri.

– C’è una sola cosa che vale la pena di ricordare e sono i tuoi occhi dopo che abbiamo fatto l’amore. Eravamo nella vecchia casa di mia madre, una casa che adesso non esiste più, è stata venduta. Eri stupita. Mi ricordo i tuoi occhi. Mi hai guardato, eri stupita. Non che tu abbia condiviso qualcosa con me. Non mi avevi detto niente, ma si vedeva che ti stavi chiedendo qualcosa rispetto al passato, rispetto al fidanzato che avevi prima. Potrei sbagliarmi, ma mi sembra di ricordare avessi avuto un lungo fidanzamento prima di me. Ti sei girata da un lato e hai smesso di guardarmi, mi hai guardato per un breve momento, io ti ero sopra, poi ti sei voltata di lato.

– Poi eri venuto su a Londra, quell’estate?

– Londra era stata un disastro.

– Io ero stata un disastro.

– Quel tizio, quel tizio grosso, che stava nello studentato, il tuo amico: volevi stare con lui, non con me. Te l’avevo anche detto.

– Non mi ricordo.

– A Londra mi ero trovato a girare per la città a cercare dove dormire, a piedi, senza indicazioni, due bancomat non mi avevano preso la carta.

– Mi ricordo di averti chiesto di andartene.

– Era stato divertente entrare di nascosto nel tuo studentato, a Marble Arch. L’unica cosa che ti rimprovero è che mi avevi chiesto le sterline per smezzare la stanza.

– Poi avevi trovato da dormire?

– Sì, mi avevi anche raggiunto, non ti ricordi? Mi sembra fosse un ostello vicino a Chelsea. La moquette puzzava, era blu, una stanza con diversi letti. Il tizio nel letto sopra il mio dormiva coi calzini ai piedi. Mi ricordo i suoi calzini che spuntavano dal letto. Quando eri passata avevamo preso una birra nella sala giochi dell’ostello, c’erano il biliardo, le freccette. Il posto era pulcioso. Tu eri in imbarazzo: quando hai visto dov’ero, hai avuto la conferma che non avevi perso molto a chiedermi di andarmene.

– Ci siamo baciati con Mark, il tizio grosso, come l’hai chiamato. Aveva la stanza in fondo al corridoio del dormitorio. Ci siamo baciati il giorno prima che tornassi in Italia.

– Mi era simpatico. Con me era stato gentile, ricordo che ci eravamo parlati a colazione una volta, nella caffetteria con la vetrata su Oxford Street. Mi consigliava di fare una passeggiata nel parco. Tu eri a lezione. Quel giro a Londra, dopo che me ne ero andato, con la paura di restare senza soldi, coi bancomat che non mi prendevano la carta, senza sapere dove andare, avevo provato una paura reale. La paura di essermi perso. È stata un’avventura divertente, a ripensarci. È successa al momento giusto. Ora, con internet, non sarebbe possibile.

– Cercheresti una stanza su Trip Advisor.

– Avrei prenotato un Airbnb e non sarei venuto al tuo studentato.

– Forse sarebbe andata meglio. Ma noi come ci eravamo conosciuti?

– Avevi dimenticato un accendino, fuori dalla biblioteca, l’aula studio a fianco di Palazzo Nuovo. Io l’avevo trovato, conservato, e quando ci eravamo trovati fuori, tutti e due a fumare, te l’avevo restituito.

– Doveva ancora cominciare tutto.

– Quegli occhi che avevi, quel giorno, in quel letto, sembrava che ti stessi dicendo “allora è così”.

– È stato un inizio.

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