Il primo dollaro di Stephen King

Mi ricordo che quell’idea mi dava un’immensa sensazione di possibilità, come se fossi entrato in un enorme palazzo pieno di porte chiuse, libero di aprire quelle che volevo. C’erano più porte di quante una persona ne avrebbe potute aprire in una vita intera, pensai (e lo penso ancora).

Alla fine scrissi una storia su quattro animali magici che giravano su una vecchia automobile, aiutando i bambini che incontravano. Il loro capo era un grande coniglio bianco che si chiamava il signor Truccoconiglio. Lui guidava la macchina. La storia era lunga quattro pagine, meticolosamente stampate a matita. In nessuna di queste, per quel che mi ricordo, nessuno saltava giù dal tetto del Graymore Hotel. Quando ebbi finito diedi la storia a mia madre, che si sedette in soggiorno, col suo portafoglio vicino, e la lesse tutta in una volta. Potrei dire che le piacque – rideva nei punti giusti – ma non potrei dire se le piacque perché mi voleva bene e ci teneva a vedermi contento o perché la storia fosse davvero buona.

– Questa non l’hai copiata? Mi chiese quando ebbe finito. Io dissi di no, era mia. Lei disse che era così buona da meritare di stare in un libro. Nessuno mi aveva mai detto nulla che mi avesse fatto sentire più felice. Scrissi altre quattro storie sul signor Trucconiconiglio e i suoi amici. Mia madre mi diede un quarto di dollaro per ciascuna e le spedì alle sue quattro sorelle, che un po’ la compatirono, credo. Loro erano ancora sposate, dopo tutto; i loro uomini erano lì. È vero che zio Fred non aveva senso dell’umorismo e si ostinava a tenere su il tetto della sua decappottabile, è vero che lo zio Oren beveva parecchio e aveva fosche teorie su come ebrei governavano il mondo, ma loro erano lì. Ruth, invece, badava al bambino dopo che Don se ne era andato. Ci teneva a fargli vedere che era un bambino di talento, dopotutto.

Quattro storie. Un quarto di dollaro per ciascuna. Il mio primo dollaro in questo genere di affari.

Stephen King, On Writing: A Memoir of the Craft, 2000.

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