Il primo gol di Ciro Immobile in Champions League pare una rosa

Io glielo ho visto fare altre volte a Ciro, lo so che non è un caso. Lo so che l’amore è una cosa che odora di rosa ma rosa non è. Lo so che non è un caso ma una precisa indicazione del destino. L’ho visto altre volte prendere una palla che il primo pensiero del cervello è: con quella palla non ci puoi fare niente. E infatti cosa ci devi fare con una palla prima della linea di centrocampo, che sei solo, tre uomini davanti. Niente.

Il primo gol di Ciro Immobile in Champions League è un gol dei suoi, un tifoso del Torino FC 1906 che gli ha visto giocare trentatré partite l’anno scorso lo sa, perché li conosce quei gol, conosce quella sensazione, quel pensiero che da quella palla non può nascere niente, cosa ci vuoi fare con quella palla, cosa pensi di poterci fare.

Ma neanche Ciro lo sa cosa farci. Prende la palla prima del centrocampo e non ha idea di cosa farci. Allora corre, con la palla al piede. Non corre tanto per fare gol quanto per dimostrare che Schopenhauer aveva ragione, è tutta una questione di volontà e allora continua a correre, volontà e desiderio, palla al piede. Ha tre uomini davanti, un altro, uno furbo, la pianta lì, si gira, passa, prova un dribbling, Ciro no, Ciro corre, palla al piede, dritto, e quello che avviene tra lui e le gambe dei due difensori che lo chiudono non è un rimpallo, non è il pallone che rimbalza casualmente su un piede sinistro e finisce preciso davanti al destro, non è un rimpallo: è il suo desiderio che si manifesta e che gli dà ragione e gli dice vai Ciro, vai. E lui va, mica la controlla, mica la stoppa, mica se la aggiusta, tira subito.

Un controllo in più è la differenza di tempo che passa tra un attaccante che fa gol e uno che no. Tra un attaccante che prima di tirare deve sapere cosa sta per fare e uno che è tutto volontà e desiderio. Che non ti saprebbe mica spiegare perché non ha aspettato che i compagni salissero, non ha sterzato, dribblato, non si è defilato e invece ha solo corso, palla al piede, dritto, per cinquanta metri, fino in fondo al campo, fino al tiro, fino al gol.

Che dispiacere manco averti salutato Ciro, l’ultima di campionato in casa, contro il Parma. Che dispiacere non tifarti più, è come sapere che l’amore è un forte dolore che pare una cosa che odora di rosa, ma rosa non è.

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