Bret Easton Ellis a Torino

Bret indossa degli occhiali neri, Dolce&Gabbana. Qualcuno gli chiede quale sia la cosa peggiore che possa capitare a uno scrittore e lui dice: «fare un tour promozionale». Le maniche della t-shirt quasi gli coprono le mani e scherza sul fatto di sentirsi un animale, portato di qua e di là, tra un piatto di pasta e un prosecco.

Giuseppe Culicchia, che lo traduce per Einaudi ed è lì con lui sul palco del Circolo dei Lettori a Torino, gli chiede cosa significhi quando su Twitter si scrive “ho organizzato una serata alla Bret Easton Ellis” e lui risponde «che è diventato un brand che si vende bene. Prendi la copertina dell’ultimo libro, nell’edizione americana o inglese, il titolo si legge appena ma nome e cognome li vedi anche da lontano». Conseguenze dell’essere un autore nella società capitalistica, ti tocca di fare i tour promozionali e di dare consigli agli aspiranti scrittori: «sposate una donna ricca. La storia del giovane che esordisce con il botto è roba da vecchio impero». Come era capitato a lui, quando l’impero c’era ancora. Ora, «dopo l’undici settembre, la crisi finanziaria e l’elezione di Obama, siamo definitivamente nel post-impero».

Ma non gli va granché di fare la parte del sociologo e chiarisce che American Psycho non era un libro sugli anni ottanta o su Wall Street; era un libro su uno che ce l’ha fatta, è entrato in quella piccola porzione di società di cui ardentemente desiderava far parte e pure si sente brutalmente alienato, completamente solo. American Psycho, e solo adesso gli va di parlarne, è un libro sulla solitudine. «È il romanzo più autobiografico che abbia mai scritto, ed effettivamente Pat Bateman andava a mangiare negli stessi ristoranti dove andavo a mangiare io, frequentava gli stessi club e le stesse persone che frequentavo io».

Le polemiche sulla violenza nelle sue storie lo hanno stancato, per questo si era rifiutato di tornare – prima d’ora – su quel libro, e se gli chiedi delle accuse di misoginia nei suoi confronti dice: «mi hanno indicato come misogino, nichilista, omofobo e altro ancora. Non me importa nulla. Purché non dicano che sono grasso». Al che una voce femminile dal fondo della sala gli lancia un gioco di parole «fat or phat?» e lui commenta: «ecco una ragazza italiana molto intelligente».

Sì, il suo stato emotivo influisce profondamente sulla sua scrittura. Quando, in macchina fermo a un semaforo, gli era balenata l’idea di riprendere Clay, il protagonista di Less Than Zero, per scoprire dove vivesse e cosa facesse adesso: «lo immaginavo tra New York e Los Angeles, nell’industria del cinema» aveva pensato che ne sarebbe venuta fuori una storia leggera, un romanzo d’amore, perché lui, in quel momento si sentiva così: felice. Il film The Informers, con il suo splendido cast che contava tra gli altri Mickey Rourke, Kim Basinger e Winona Ryder, prometteva bene, e solo di lì a poco invece «le cose cominciarono ad andare a puttane» fino a risolversi nel periodo di maggior dolore di tutta la sua vita, che lo ha portato a scrivere il suo libro più cupo e sofferente: Imperial Bedrooms. Dentro ci sarebbe finito il tradimento di un amico, lo stesso tipo di tradimento che aveva innescato l’inizio del disastro.

«Come mai vanno così male i film tratti dai suoi romanzi?», gli si chiede dal pubblico. «Perché sono romanzi, sono buoni come romanzi. Scrivo anche delle sceneggiature, che andrebbero bene per farci dei film». Ne ha appena finita una a proposito di «squali che attaccano un gruppo di giovani di bella presenza». Così poi può fare quella su degli amanti suicidi.
È quello che tocca all’autore nel capitalismo del post-impero: uno scambio di favori, tocca a tutti, anche a Spielberg che, per poter realizzare il film che vuole lui e che di sicuro andrà male alla cassa, deve prima farne uno che venda bene. «Devi nutrire la macchina che ti nutre». Il che, in fondo, non è molto distante dalla logica del casting couch, il favore sessuale per ottenere una parte; succede, succede di continuo a LA, «io non ho mai avuto tante offerte sessuali come quando facevo i casting. Puoi prenderla per quello che è e chiuderla lì o farne l’inizio di un incubo, come accade nel libro». Succede davvero di essere seguiti da misteriose automobili e ricevere inquietanti messaggi anonimi (in Somewhere di Sofia Coppola c’è una scena identica, solo che l’auto è nera e non blu) e a Bret poi tocca rassicurare sua mamma, pedinata per strada.

C’è tempo ancora per dire che sì, si ritrova nell’accurata raffigurazione del male di Bolano in 2666, che Murakami è un autore sensibile che scrive libri sensibili, come lui stesso d’altronde, e per rispondere «sì» a una serie di domande che fanno venire voglia all'”animale” di andarsene, anche se quando Andrea Canobbio, l’editor di Einaudi, sottovoce, gli chiede per quanto regge ancora lui risponde, gentilissimo, «whatever you want».

Tocca ancora dire che no, Less than Zero non è affine a The Catcher In The Rye, è anzi «l’anti-Holden. Mentre Holden Caulfield è un personaggio con problemi specifici, la dimensione di Clay è esistenziale». E poi che «no, nonostante me l’abbia chiesto la sua famiglia, che lo ha trovato irrispettoso non cogliendone lo spirito, il tweet sulla morte di Salinger (“Thank God he’s finally dead. I’ve been waiting for this day for-fucking- ever. Party tonight!!!”) non è stato rimosso e resterà lì di modo che tutti lo possano leggere».

Poi non rimane che firmare 500 libri, salutare i relativi lettori e un’altra tappa del tour promozionale è andata.

4 thoughts on “Bret Easton Ellis a Torino

  1. diegodatorino Post author

    Grazie mille Cherry, ho corretto. Quindi il gioco di parole che avevo capito (male) io era «grasso o gay», noiosissima questione intorno ai gusti sessuali dello scrittore. Il vero gioco di parole dell’intervento (molto più divertente) era «grasso o sexy».

  2. Cherry

    Esatto, anche perchè alla fine secondo me BEE è asessuato, come gli angeli.
    Per altro ieri mi sono fatto tatuare sul braccio DISAPPEAR HERE, scritto dalla sua penna sulla mia pelle proprio quella sera. Quando si dice groupies… 😉

  3. Pingback: Imperial Bedrooms / Bret Easton Ellis. Einaudi 2010. (segnalazione) « federico novaro libri

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