Per scrivere devi avere un coltello (#4) e usarlo per tagliare il pesce palla

Coltelli dappertutto.

Da quando mi è venuto in mente quell’allenatore di tennis che diceva che per vincere devi pugnalare il tuo avversario alla gola quando è girato di spalle, e mi era venuto in mente a proposito di quel professore che a un corso di drammaturgia diceva che per scrivere devi avere un coltello puntato alla gola, mi vengono incontro dei coltelli.

Per esempio mi sono ricordato di quello di Lady Macbeth, che dice una cosa simile a quello che dice Franco Califano, e del dubbio di Emmanuel Carrère che si chiede se scrivere per lui equivalga a uccidere qualcuno.

L’altro giorno Murakami, nel libro L’arte di correre, capitolo 5°, p. 86 dell’edizione Einaudi:

Fondamentalmente, concordo con l’affermazione che scrivere è un’attività malsana. Quando decidiamo di scrivere un libro, cioè di creare una storia dal nulla servendoci di parole e frasi, necessariamente estraiamo e portiamo alla luce un elemento tossico che fa parte del nucleo emotivo dell’essere umano. Lo scrittore se lo trova di fronte e, pur sapendo di correre un pericolo, deve maneggiarlo con abilità. Perché senza l’intervento di quell’elemento tossico, un atto creativo dal significato autentico non è possibile – scusate l’esempio terra-terra, ma è un po’ come quando si dice che la parte più buona del pesce palla è quella più vicina al veleno. Quindi, comunque la si rigiri, non si può dire che la scrittura sia un’attività sana.

Coltelli dappertutto. Coltelli per vincere e per scrivere. Essere un coltello per usarlo e usarlo per uccidere qualcuno, pur di non perdere. E ora coltelli per tagliare il pesce, dalla parte del veleno.

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